Il greco Dioscoride, celebre farmacologo dell’antichità, parla di una radice curativa chiamata rha: anzi, rha–barbarum,
vista la sua provenienza dal Bosforo, attraverso un lento percorso
fluviale lungo il Volga. Diversi secoli dopo Marco Polo, che ben conosce
il rizoma del rabarbaro, ne scrive nel suo Milione: “E la grande
provincia…..è chiamata Cangut. E per tutte le sue montagne si truova lo
reubarbaro in grande abondanza…..”. Durante il Medioevo il rabarbaro,
soprattutto quello cinese, si afferma nella farmacopea europea per le
sue virtù terapeutiche; per questo i governi del Vecchio Continente
cercano a più riprese di assicurarsi il monopolio del prezioso rizoma. È
solo nel 1772 però che la Russia, attraverso una società di
intermediazione tartara e grazie al pagamento di una tassa al governo
cinese, acquisisce l’esclusiva dell’intera produzione di rabarbaro: la
ricercatissima radice comincia così ad arrivare sui mercati europei con
l’etichetta di “Rabarbaro della Corona”, o “Rabarbaro di Moscovia”.
Ed eccoci finalmente alla prima metà del XIX secolo, quando si esce
dalla sola farmacopea per entrare anche nella liquoristica. Siamo in
Italia, a Milano: Tilde Beduschi, moglie di Ettore Zucca, sperimenta una
ricetta a base di rabarbaro che il suo medico le ha prescritto per
alleviare alcuni fastidiosi disturbi digestivi. La pozione non solo ha
successo, ma risulta anche piacevole al gusto e all’olfatto, al punto
che Ettore Zucca intuisce che può diventare una bevanda benefica e
gradevole per tutti. Carlo, figlio di Ettore, dà seguito all’iniziativa
paterna, e trasforma la piccola bottega artigianale di famiglia in una
moderna industria. La terza generazione degli Zucca, quella di Emilio e
Gerolamo, avvia l’espansione aziendale al di fuori della città di
Milano; alla vigilia della Prima Guerra Mondiale vengono così acquistati
alcuni caffè in posizioni chiave di altrettante grandi città, Milano,
Torino e Parigi. Ecco allora che il “Caffè Zucca” apre e chiude le
serate meneghine della Scala, accoglie i nostalgici del vecchio Piemonte
sabaudo per la capitale perduta a Torino, e fa da trampolino di lancio
per molti importanti riconoscimenti internazionali a Parigi.
Oltre al successo commerciale arrivano anche i primi, prestigiosi
attestati di immagine. Il Professor Murri, conosciuto all’epoca come il
miglior diagnostico d’Italia, scrive nel 1925 a una sua paziente: “Cara
Signora, il rabarbaro non può che farle bene; l’ottimo preparato dello
Zucca, delizioso al palato, le riuscirà doppiamente utile”. La stessa
Casa Reale dei Savoia, accertati i pregi del prodotto, autorizza
l’azienda Zucca a fregiarsi del titolo di “Provveditore della Real
Casa”.
L’allargamento del mercato e la crescita dell’immagine favoriscono
inoltre la nascita di nuove marche di rabarbaro, da parte di aziende
private (p.es. Bergia, Carlotto) o di piccoli opifici conventuali (p.es.
Camaldolesi).
Come si ottiene il liquore a base di rabarbaro? Il prodotto è
realizzato impiegando i rizomi della pianta posti in infusione insieme a
corteccia di china e di arancio amaro, semi di cardamomo e altre erbe
medicinali (come genziana, quassio, garofano, ecc.). Passati dieci
giorni circa di riposo, la bevanda viene filtrata e imbottigliata, ed è
quindi pronta per il consumo.
Di colore ebano, il liquore al rabarbaro stimola le papille gustative
con il suo gusto amarognolo, che pulisce gradevolmente la bocca e
persiste lungamente sul palato. A livello dell’apparato digestivo, lo
scuro elisir esercita il complesso delle sue azioni eupeptiche, in
quanto aumenta il flusso della secrezione gastrica ed eccita la
motilità, favorendo l’elaborazione del contenuto dello stomaco. Inoltre,
agendo sulle secrezioni del fegato che veicolano i sali biliari, aiuta
l’intestino a regolare l’assorbimento dei lipidi.
Come si consuma il liquore a base di rabarbaro? Ottimo come
aperitivo, può essere apprezzato liscio anche dopo il pasto, in un
classico bicchiere a stelo. D’estate è ideale se miscelato con acqua
gassata o shakerato con cubetti di ghiaccio, a mo’ di bibita dissetante a
bassa gradazione alcolica; d’inverno è gradevole se servito caldo, come
punch. È infine uno stuzzicante ingrediente di base per numerosi short e
long drink, secondo la fantasia del barman.
fonte (Piero Valdiserra)